30 Mag A tal degh – Maggio
Dì la cosa giusta
Dal numero di maggio 2019 di Piazza Grande
di Leonardo Tancredi
Uno dei primi obiettivi che si è posta la redazione di Piazza Grande, quando ha cominciato a riunirsi nella sala comune del dormitorio Sabatucci nel 1993, è stato convincere lettori e colleghi giornalisti che né “barbone” né “clochard” sono parole neutre. Ancora oggi non possiamo dire che l’obiettivo sia stato raggiunto, nei titoli e nei testi di articoli queste parole spuntano fuori qui e là come funghi indigesti. Entrambi i termini sono frutto di stereotipi e pregiudizi. Non è necessario spiegare perché chi vive in strada è chiamato barbone, eppure è un’immagine che non ha quasi mai riscontro nella realtà.
Riconoscere una persona senza dimora (è questo il termine non stigmatizzante da usare) dal suo aspetto esteriore non è affatto scontato perché il primo mezzo per staccarsi di dosso l’etichetta di povero è curare il proprio aspetto, radersi e indossare vestiti magari lisi, ma puliti. Vi sfidiamo a passare un paio d’ore in stazione e distinguere un senza dimora da un viaggiatore.
Clochard è una parola di origine francese, deriva dal verbo clocher, zoppicare. Associare un handicap fisico a una condizione di deprivazione socio-economica, come quella dei senza dimora, non è il solo motivo per cui è scorretto usare questa parola. Spesso chi lo fa pensa che sia meno rude di “barbone”, più cortese, ma a pensarci bene clochard richiama un immaginario fuorviante, quello del vagabondo bohemien che ha scelto la vita di strada per sfuggire ai vincoli di una comune esistenza borghese. E rieccoci al principe degli stereotipi: come non ci stancheremo mai di ricordare, in strada nessuno ci va per scelta. Allora, lettori e lettrici, colleghe e colleghi, facciamo uno sforzo, parliamo bene per pensare meglio.
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