L'INCHIESTA: Caporalato in Emilia Romagna | Piazza Grande
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23 Ott L’INCHIESTA: Caporalato in Emilia Romagna

Il caporalato in Emilia Romagna, una realtà che non vogliamo vedere

Italiani e stranieri sfruttati a pochi chilometri da casa nostra, senza via d’uscita

Dal numero di settembre 2019 di Piazza Grande
di Francesco Pascucci

“Sono un schiavo e vivo nell’orrore”. Agostino, nome di fantasia, è italiano e vive e lavora come bracciante agricolo nel ravennate, un’immensa e lussureggiante distesa di vitigni e alberi da frutto. Ha deciso di raccontare e mostrare il suo inferno perché “le persone devono prendere coscienza di quello che accade ogni giorno in agricoltura, anche quassù, nella civile e benestante Emilia-Romagna. Devono sapere come veniamo trattati noi braccianti, devono ricordarselo ogni volta che comprano la frutta e la verdura nei supermercati”. Lavora nelle campagne da otto anni ed ora, stanco di essere sfruttato, sta cercando di convincere i suoi colleghi, quasi tutti stranieri, a denunciare il datore di lavoro. Ha segnalato la sua condizione alla Flai-Cgil di Ravenna ma ha evitato di sporgere denuncia. Il timore di affrontare da solo una eventuale vertenza, senza l’appoggio degli altri braccianti, è troppo grande.

“Il fenomeno dello sfruttamento prolifera quando c’è omertà. I lavoratori vengono ricattati e perdono la forza di ribellarsi. In quelle campagne c’è qualcosa di più del semplice sfruttamento. Credo che la situazione sia in realtà ben più grave e pervasiva di come appaia. Le segnalazioni e le denunce che ci sono pervenute fino ad ora sono solo la punta dell’iceberg”

“Purtroppo, la maggior parte dei lavoratori ha molta paura. Temono di perdere quel poco che hanno, e a quel poco, quasi niente, ci si aggrappano con tutte le loro forze” spiega Raffaele Vicidomini, segretario della Flai-Cgil di Ravenna. “Infatti -continua- il rapporto tra segnalazioni e denunce è sproporzionato in favore delle prime. Molti lavoratori vengono da noi ma poi alla segnalazione non fa seguito una denuncia”. Sulla stessa linea d’onda è Mauro Spazzoli, segretario della Flai-Cgil di Cesena: “Il fenomeno dello sfruttamento prolifera quando c’è omertà. I lavoratori vengono ricattati e perdono la forza di ribellarsi. In quelle campagne c’è qualcosa di più del semplice sfruttamento. Credo che la situazione sia in realtà ben più grave e pervasiva di come appaia. Le segnalazioni e le denunce che ci sono pervenute fino ad ora sono solo la punta dell’iceberg”. Agostino, infatti, fa parte di quel 20% su oltre 30mila lavoratori che secondo l’ultimo rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto Flai-Cgil è vittima del grave sfruttamento di manodopera che imperversa nelle aree metropolitane di Ravenna e Forlì-Cesena.

“Com’è possibile che tutto questo verde possa diventare una trappola per topi? Perché questo siamo, cavie senza futuro”. Racconta con rabbia di come funziona il reclutamento dei lavoratori. “Gli stranieri arrivano qui soprattutto attraverso il passaparola di amici e conoscenti. Contattano il caporale via telefono e si rendono disponibili. Altrimenti si affidano a degli intermediari nei loro paesi di origine, che si fanno pagare dai 4 ai 6mila euro per organizzare il viaggio e l’incontro con il caporale. Dei veri e propri trafficanti. Nord Africa e Europa dell’est sono i bacini di manodopera privilegiati”. E gli italiani? “L’italiano che decide di fare questo lavoro massacrante solitamente è disperato e accetta senza condizioni. Una volta quest’area era piena di aziende manifatturiere. Negli ultimi dieci anni hanno chiuso una ad una. Chi non era specializzato, non ha avuto molta scelta: andarsene o lavorare i campi. È quello che è successo a me”. La sovrabbondanza di manodopera ha rappresentato un potente strumento di coercizione per le imprese agricole. Riduzione drastica dei salari e peggioramento delle condizioni lavorative hanno portato ad una guerra tra poveri che vede contrapposti italiani e stranieri. Una concorrenza al ribasso per un tozzo di pane. “Questi delinquenti sono ben organizzati. I caporali, quasi tutti italiani o nordafricani, sono i referenti di false cooperative create ad arte. Uno specchietto per le allodole in caso di controlli”.

” Queste finte coop affittano a prezzi stracciati i casolari e i capannoni sparsi per tutta la vallata. Poi subaffittano questi spazi ai lavoratori, soprattutto stranieri, chiedendo loro 150, 200 euro a posto letto. In un appartamento possono finire anche quindici o venti persone”

La quasi totalità dei lavoratori che vengono arruolati attraverso queste coop. sono inquadrati con contratti da braccianti agricoli. Vengono spesso pagati in nero, e quando invece percepiscono regolarmente lo stipendio sono costretti a restituirne in contanti una buona parte al caporale, pena il licenziamento. “I braccianti guadagnano alla fine 30, al massimo 40 euro al giorno, dopo aver lavorato per 12, 13 ore”. Ma la beffa non finisce qui. “Qua attorno è pieno di paesi che si stanno spopolando. Queste finte coop affittano a prezzi stracciati i casolari e i capannoni sparsi per tutta la vallata. Poi subaffittano questi spazi ai lavoratori, soprattutto stranieri, chiedendo loro 150, 200 euro a posto letto. In un appartamento possono finire anche quindici o venti persone”. Oltre all’alloggio, il lavoratore è costretto a pagare il trasporto da casa propria al campo di lavoro. “Il caporale chiama, indica luogo e ora dell’incontro e passa a prenderlo con il pulmino”. Non ci sono diritti, non c’è malattia, non c’è maternità per le donne, non c’è disoccupazione, non c’è niente.

“Capita anche che al bracciante vengano chiesti migliaia di euro per essere messo in regola. Cosa che chiaramente non succede”. Le amare parole di Agostino trovano un preciso riscontro nel rapporto Agromafie e caporalato. Attraverso il sistema delle false coop, questo particolare tipo di caporalato si è diffuso anche in altri settori quali il turismo e la logistica. Pur non essendoci le prove, il rapporto evidenzia come il rischio di riciclaggio di denaro sporco e di infiltrazioni della criminalità organizzata, mutuato da questo sistema, sia molto alto. “Tutte queste cooperative spurie che nascono come funghi e poi spariscono all’improvviso evadono il fisco. Non pagano l’iva, i contributi dei lavoratori, il tfr. Indicano meno giornate lavorative di quelle svolte, cosicché da rendere impossibile per il lavoratore ottenere la disoccupazione agricola. Questo rende il bracciante completamente assoggettato al datore di lavoro e lo mette nelle condizioni di lavorare anche quando non dovrebbe. Come si fa ad uscire da tutto questo?”.

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