Il festival di Woodstock | Piazza Grande
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26 Ago Il festival di Woodstock

Cinquant’anni fa, il festival di Woodstock

Dal numero di luglio-agosto 2019 di Piazza Grande
di Luciano Bonazzi

All’inizio fu il beatnik

Gli Stati Uniti degli anni cinquanta erano dominati da perbenismo puritano e paranoie maccartiste collegate alla guerra fredda. I giovani iniziarono a ribellarsi a concetti come la rispettabilità, contro il consumismo e il capitalismo, cui contrapposero la libera sessualità teorizzata dallo psicoanalista Wilhelm Reich e le droghe, soprattutto allucinogene come LSD. Si può comprendere quella generazione, leggendo le “Memorie di una Beatnik” della poetessa italo-americana Diane Di Prima. Negli anni Sessanta, lungi dall’affievolirsi, il movimento trovò nuova linfa dalla contestazione contro la guerra del Vietnam che acuì lo strappo generazionale, culminando nel biennio 1967 e 1968.
Nel 1969, quattro giovani amici, John Roberts, Joel Rosenman, Artie Kornfeld e Mike Lang, sognavano di creare uno studio di registrazione all’avanguardia. Forti dei capitali di John Roberts, rampollo dell’industria farmaceutica, i quattro trovarono il luogo adatto nella zona industriale di Wallkill, località dello stato di New York. A quel punto dovevano farsi conoscere, così Artie Kornfeld e Mike Lang idearono e finanziarono un grande evento-concerto rock all’insegna della Pace e della Musica. Purtroppo per gli organizzatori i cittadini di Wallkill insorsero, dichiarando che non volevano aver a che fare con “un mucchio di drogati” e approvando un’ordinanza di divieto al concerto. Dopo quel provvedimento, vari artisti si tirarono indietro e anche i rivenditori dei biglietti presero le distanze dall’evento. Un aiuto agli organizzatori giunse dal casaro Max Yasgur, che mise a loro disposizione un grande terreno.

I partecipanti, giunti sul luogo, si accamparono come poterono, sovraffollando Woodstock a tal punto, che gli artisti venivano trasportati sul palcoscenico in elicottero. Bene o male, il Festival di Woodstock ebbe iniziò venerdì 15 agosto, il primo artista a esibirsi fu il chitarrista afroamericano Richie Havens che suonò fra altre canzoni la celeberrima “Freedom”, brano che divenne l’inno dell’evento.

Il Festival di Woodstock

Pur avendo trovato il sito adatto, purtroppo era tardi, il palco non era stato completato, mancavano strutture di accoglienza e servizi igienici. Non c’erano le biglietterie né tantomeno la recinzione, il festival si trasformò così in una kermesse gratuita. Data la gratuità dell’evento, una marea di giovani si mise in marcia con ogni mezzo. I partecipanti, giunti sul luogo, si accamparono come poterono, sovraffollando Woodstock a tal punto, che gli artisti venivano trasportati sul palcoscenico in elicottero. Bene o male, il Festival di Woodstock ebbe iniziò venerdì 15 agosto, il primo artista a esibirsi fu il chitarrista afroamericano Richie Havens che suonò fra altre canzoni la celeberrima “Freedom”, brano che divenne l’inno dell’evento. Dopo Havens suonarono gli Sweetwater, Bert Sommer e altri fino a Joan Baez incinta al sesto mese. Mentre la Baez si esibiva, il marito David Harris veniva arrestato dall’esercito USA per obiezione di coscienza; Bob Dylan invece era assente giustificato, poiché stava affrontando una grave situazione famigliare.

Il 16 agosto si esibirono Carlos Santana, Janis Joplin, gli Who e i Grateful Dead, domenica 17, ultima giornata, si esibì Jimi Hendrix, col brano The Star-Spangled Banner, sua magnifica reinterpretazione dell’inno degli Stati Uniti. Considerato il più grande chitarrista rock di sempre, nella sua performance Hendrix simulò il suono delle bombe, fece vibrare la sua chitarra Fender Stratocaster, evocando le urla delle popolazioni e il rumore dei caccia, accompagnati da un lacerante inno nazionale. Il successo fu tale, che anche oggi il video della sua esibizione è un modello per tutti le rock star. Dopo Hendrix, salirono sul palco Joe Cocker e altri big della musica. Durante l’esibizione, su Woodstok si abbatté un grande temporale che interruppe il concerto. Fu allora che, per ore, centinaia di migliaia di persone intonarono un mantra che ripeteva ossessivamente “No rain, no rain, no rain”.

Il dopo Woodstock

Dopo l’evento gli organizzatori vennero accusati di aver promosso una manifestazione disorganizzata e pericolosa. Solo Max Yasgur, proprietario del terreno, li difese: “Se ci ispirassimo a loro potremmo superare quelle avversità che sono i problemi attuali dell’America, nella speranza di un futuro più luminoso e pacifico“. Gli organizzatori di Woodstock si ritrovarono indebitati fino al collo e non ebbero granché da felicitarsi per la grandezza dell’evento che avevano saputo organizzare. Avevano debiti per un milione di dollari e settanta cause giudiziarie pendenti. Fortunatamente, il film integrale del Festival di Woodstock, ebbe un grande successo e i quattro organizzatori riuscirono a coprire parte dei debiti. Il film, del 1970 s’intitola “Woodstock – Tre giorni di pace, amore e musica”, diretto da Michael Wadleigh. Nel 2009, anche il regista Ang Lee si cimentò in un film su Woodstok intitolato “Motel Woodstock”, che però fu un flop.
Il retaggio del Festival di Woodstock consiste in una presa di coscienza generazionale. Un’esperienza che dagli Stati Uniti si è riverberata il tutto il mondo occidentale, dove, a vari livelli e con le debite diversità culturali, contribuì a mettere in discussione schemi borghesi e sociali farraginosi, lasciando il sedimento di una nuova consapevolezza… “Peace and Love!”.

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