11 Feb A tal degh – Febbraio
I migranti con gli smartphone, che pacchia
Dal numero di febbraio di Piazza Grande
Di Leonardo Tancredi
Il cellulare è uno strumento che agevola le attività quotidiane, tanto da non poterne fare a meno. Per chi arriva in Italia da un Paese lontano è lo stesso, anzi di più.
“Macché poveretti! Hanno telefoni più belli del mio!” Se si parla di migranti in un bar da nord a sud dello Stivale, ci sono ottime probabilità che queste parole vengano pronunciate. Lo spazio di A tal degh di questo numero è dedicato a un luogo comune emergente, il rapporto tra smartphone e flussi migratori. Partiamo da una nota storica: negli anni ‘90, alla loro comparsa sul mercato, i telefoni cellulari erano uno status symbol, un’ostentazione di ricchezza. Non è più così, il cellulare è un oggetto di uso comune e nella sua evoluzione è uno strumento che agevola le attività quotidiane, tanto da non poterne fare a meno.
Per chi arriva in Italia da un Paese lontano è lo stesso, anzi di più. Molto spesso lo smartphone è una dotazione dei migranti sin dalla partenza, perché nel deserto del Niger o tra i monti dei Balcani può tornare utile il gps per capire in quale angolo del mondo ci si trovi. Per chi invece ne è sprovvisto, all’arrivo in Italia il telefono è la prima spesa da affrontare con qualche decina di euro messa da parte. Nei negozi di apparecchi digitali cosiddetti “cinesi”, per un vecchio modello bastano meno di 50€. Con uno smartphone, una connessione e un’app social ragazze e ragazzi nigeriani, togolesi o gambiani potranno restare in contatto con le loro famiglie in Africa, comunicare con connazionali in Europa, informarsi su quello che accade nel loro Paese e anche nel nostro, ricevere comunicazioni dai progetti di accoglienza. In poche parole, il telefono serve a sentirsi meno isolati. Non è così anche per milioni di ragazzi italiani?
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