Infermiera di famiglia e comunità. Il passaporto della salute a Bologna | Piazza Grande
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26 Set Infermiera di famiglia e comunità. Il passaporto della salute a Bologna

di Cinzia Michielli, Massimo Lodi, Ylenia Fonti

Elena è infermiera di famiglia e comunità dell’azienda USL di Bologna; l’abbiamo incontrata per il giornale di Piazza Grande al Condominio Scalo, luogo che conosce molto bene così come i suoi ospiti. Il suo è un mestiere importante ma poco conosciuto e questo di certo è una grande perdita per la comunità.

Ciao Elena, parlaci del tuo lavoro di Infermiera di Comunità, di quali servizi ti occupi e per che tipo di utenza.

Il mio è un lavoro ibrido, che prende dal sociale e dal sanitario. Il mio bacino di utenza è molto aperto, non ho limiti di età come altri colleghi, seguo situazioni di particolare fragilità e criticità. Il filo conduttore è che sono persone che hanno bisogno di aiuto, perché non hanno la famiglia o gli amici che possono occuparsi di loro. Come comunità invece dovrei svolgere un lavoro di prevenzione volto ad educare ai giusti stili di vita, a prevenire determinate patologie.

Concretamente in che modo intervieni per aiutare gli utenti?

Ho una lunga esperienza come infermiera domiciliare, ho sempre visto situazioni difficili ma non potevo fare nulla per aiutare. Ora invece ho più libertà, posso seguire le persone laddove vedo una difficoltà. E poi, non potendo essere la mamma di tutti, cerco di educare anche il caregiver. Per esempio, una signora doveva fare delle iniezioni prescritte dal medico. Era un po’ persa, perché o vai a pagamento in farmacia o hai qualcuno che te le fa. Nessuno le aveva detto che con la sua prescrizione poteva andare all’ambulatorio di Sant’Isaia e farsele fare gratuitamente, cosa che ho fatto io. Mi sono raccordata con il medico, l’ambulatorio e il paziente e, alla fine, la signora ha potuto fare il suo ciclo di iniezioni. Ho avuto come pazienti persone allettate con caregiver anziani, una situazione molto fragile. Senza l’aiuto di qualcuno queste persone escono dall’ospedale senza capire cosa ha detto il medico, che terapia fare, quindi mi è capitato di accompagnare alle visite, sollecitare il medico nello scrivere ogni aspetto nel dettaglio.

Da un po’ di tempo lavori anche a Scalo; come ti sei proposta ai condomini? Che richieste ricevi?

Io vengo qui due lunedì al mese. Per gli ospiti che trovo, ho proposto loro di provare la pressione, la saturimetria, eccetera, e compiliamo insieme “Il passaporto della salute” che loro tengono e me lo portano quando vengo la volta successiva per aggiornare i dati. Questo è un pretesto per farmi conoscere e poi di volta in volta si presentano altre necessità che possono essere: la prenotazione di una visita, la gestione di un problema, il cambio del medico.

Il tuo è un lavoro di vicinanza con i pazienti estremamente importante, faciliterebbe la vita di molti soggetti fragili, eppure non è così conosciuto e la copertura su Bologna è insufficiente rispetto alla richiesta. Come lavori con gli altri professionisti dell’USL? Cosa dovrebbe cambiare secondo te?

Mi piacerebbe che le altre persone fossero più disponibili a collaborare con me. Mi riferisco a medici di medicina generale, assistenti sociali, Servizio di Igiene Mentale (CSM) e anche altri servizi che appartengono all’USL o al Comune. Noi saremmo molto disponibili a collaborare con gli altri, non sempre la cosa è reciproca. Professionalmente mi sento sola, è mancata negli anni un’informazione capillare e spesso mi accorgo che in alcuni settori non conoscono la mia figura. Un altro problema è che incontriamo una certa resistenza in certi ambiti, la nostra figura viene vista come “scomoda” perché andiamo a sollevare delle cose che non sempre molti vogliono portare avanti. Per esempio spesso i medici non vogliono visitare il paziente a casa, si è raggiunta una specie di comfort zone che a molti va bene così.

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